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lunedì 25 marzo 2024

Grandi contemporanei: Joseph Martin Kraus (31)

"Un'ansia di novità, di ampliamento espressivo (che solo il secolo a venire, con le sue innovazioni, avrebbe potuto placare) si avverte anche altrove: un'opera che si distingue non solo dalla restante produzione kraussiana, ma anche da quella classica in genere, mostra un primo tempo inconcepibilmente lungo se si considera l'organico cui è destinato: è il Quintetto per flauto VB 188, la cui esecuzione sfiora i 10 minuti. Una durata possibile per una sinfonia, rara per una sonata classica, inusitata per un genere normalmente rivolta a interpreti di livello amatoriale.


L'esposizione di questo Quintetto è gigantesca, non tanto per il contenuto ancora morbidamente classico, quanto per la lunghezza e l'ambizione che Kraus manifesta in questa volontà di arrivare a tempi di durata romantica. Anche il Largo e il Finale seguenti durano molto più della media (ca. 8 e 6 minuti rispettivamente), e se sommiamo il totale dei tempi arriviamo a qualcosa come 25 minuti circa di musica in 3 soli movimenti. Solo il Quintetto per clarinetto di Mozart, che era però destinato a un solista di grandissimo livello, presenta dei brani così estesi."
Il primo tempo ha alcuni punti melodici di contatto col KV 285 mozartiano:



Grandi contemporanei: Joseph Martin Kraus (30)

Nel Cantabile in sib "O hamn af hjelte, far och maka", Kraus bissa, ma con una maggiore tensione sottolineata dalle note ribattute dell'accompagnamento, il clima disteso del quartetto con coro. E' l'ultima aria prima del Coro conclusivo "Kungars Gud!", in cui coro e orchestra tornano a infuriare:


Il coro è diviso in due parti, la prima dirompente, la seconda meno mossa ma altrettanto dolorosa. Per pochi secondi torna lo schema ritmica del coro precedente "O skulder af blod", poi la musica si accora, rallenta, si scuote ancora, implode, muore. Il tutto in meno di 3 minuti, a coronamento di un'opera concisa, accesa e struggente a un tempo, tanto più degna dell'epigrafe apposta sulla lapide del compositore:

"Qui riposa ciò che di Kraus è mortale, ciò che è immortale vive nella sua musica”.

Più che lecito, è naturale chiedersi cosa avrebbe potuto mai combinare un Kraus sopravvissuto al suo secolo, magari a contatto con un Beethoven o uno Schubert. La stessa domanda è stata posta con Mozart, lo stesso Schubert, Hyacinthe Jadin, Arriaga e altri meravigliosi personaggi del mondo musicale, ma nel caso di Kraus il rimpianto – almeno per quanto riguarda il genere sinfonico – è ancora più pungente, perché opere come la Sinfonia in do/do# minore o la Funebre avrebbero potuto schiudere orizzonti forse più sconvolgenti di quelli promessi dalla KV 550 o dalla Jupiter.

Probabilmente è uno degli autori che meglio si sarebbero inseriti nel mondo musicale dell'800, considerata la sua predisposizione a una poetica beethoveniana, il suo sapiente utilizzo delle pause e i suoi cambi d'umore che possono ricordare C.P.E. Bach, ma a differenza di quest'ultimo Kraus li alterna con un controllo e una coerenza maggiori. 

Grandi contemporanei: Joseph Martin Kraus (29)

Il coro "O skulder af blod" (il testo riprende la prima aria con coro e il suo piglio veemente), nella sua trascinante scansione ritmica iniziale poi seguita da una fuga imponente, è un altro capolavoro che riunisce visionariamente passato e futuro. Lampeggia, proprio in quelle battute d'esordio, la violenza beethoveniana:


C'è poi una seconda introduzione, quasi l'autore avesse voluto compensare la mancanza di una ouverture originale per quest'opera. Fremiti sinistri accompagnano il tema dell'Andante maestoso, che di per sé non è cupo e si apre a meditazioni più dolci, ma ripiegherà successivamente anche su pensieri assai mesti. La raffinata orchestrazione (oboi, clarinetti, fagotti, quattro corni e archi) asseconda pienamente il limpido percorso musicale che partendo dal do minore attraversa regioni di toccante solennità. L'atmosfera, nelle battute finali, ricorda un'altra introduzione, quella delle Sette parole di Cristo in croce di Haydn.


Il brano che segue, un quartetto con coro ("Dygder, snille, bördens ära"), si presenta con un esteso cappello strumentale in un nobile mi bemolle. Sembano ormai dimenticati i toni violentissimi dell'inizio, assorbiti qui da una calma mozartiana che si intensifica nelle successive entrate dei solisti. Questo è il pezzo più lungo (prima introduzione a parte) della Cantata, e contempla anche una parte in minore che funge da sviluppo. Da incorniciare i momenti in cui le voci si sovrappongono via via, con procedimenti imitativi di consumata sapienza che ricordano un passo analogo del quartetto "Andrò ramingo e solo" dell'Idomeneo.


Grandi contemporanei: Joseph Martin Kraus (28)

La Cantata funebre rinuncia in parte alla desolata rassegnazione che caratterizzava la Sinfonia omonima e si lancia invece in un accorato grido di dolore e indignazione contro l'assassino che ha messo fine alla vita di Gustavo III. Dopo un'introduzione che è ripresa pari pari da quella della Ouverture VB 147, Kraus dà subito fuoco alle polveri con due magnifici pezzi, il secondo dei quali particolarmente rabbioso. 

Efficacissima, a 2:56, l'entrata del coro che sovrasta la voce del già adirato tenore. La furia che sconvolge questo splendido ha in sé qualcosa di verdiano, pur mantenendosi classica nelle forme e nella scrittura. 



Il brano successivo, "På tronens höjd tyrannen skryte", si presenta in apparenza come un'altra aria appassionata, benché i toni siano più positivi (il re minore diventa maggiore dopo alcune battute), e si sofferma su considerazioni sorprendentemente serene verso la metà, quando sfocia in un Andantino in si bemolle che rappresenta una delle puntate della Cantata verso l'elegiaco.

Anche il 5° pezzo, "Han är ej-mer, o grymma lagar", si attesta su un versante lirico e particolarmente melodioso. Sembrerebbe un'aria e invece è un duetto, dato l'intervento del tenore a metà della partitura. E' l'ennesima sorpesa, ma le novità e gli scarti dalla norma permeano tutte le composizioni dell'ultimo Kraus. Vengono comunque spontanei raffronti col Requiem mozartiano, in cui si riscontrano più o meno le stesse oscillazioni tra il sublime e il rabbioso.


Dopo un recitativo, abbiamo un'altra aria con coro che ricorda, nel tema, uno degli ultimi brani del Ratto dal Serraglio, ma è il bellissimo soggetto - che sembra preso da un corale - del brano successivo, la piccola aria "Dit lif en kedja var", con la sua dolente sezione in minore, ad attirare la nostra attenzione. L'inizio ricorda molto le atmosfere della Sinfonia sorella di questa Cantata:


Grandi contemporanei: Joseph Martin Kraus (27)

Un regicidio e due capolavori 

Il 16 marzo 1792 Gustavo III viene ferito durante una festa. All'attentato (molti se ne saranno già ricordati) è ispirata l'opera di Verdi Un ballo in maschera, che qualche volta viene rappresentata con alcuni nomi modificati: per esempio Riccardo diventa Gustavo, Anckarström è Renato, ecc. A differenza di quanto avviene nell'opera, il Re non muore subito, bensì 13 giorni più tardi.

"Fedele monarchico", secondo il Van Boer, Kraus scrisse una sinfonia e una cantata (entrambe denominate "Funebri") per commemorare Gustavo III. Un commovente aneddoto narrato da Anrep-Nordin e Schreiber e riportato dallo stesso Van Boer ci informa che, durante le prove, "Kraus svenne per l'emozione e solo dopo aver pianto copiosamente, confortato dal principe reggente Carlo, riuscì a ricomporsi".

Questo detto, la musica conferma il coinvolgimento e l'affetto di Kraus, a cominciare dal primo tempo della Sinfonia VB 148 in do minore (vol. 3 Naxos), un unicum non solo nella produzione dell'autore, ma anche – probabilissimamente – di tutto il '700, trattandosi di una sinfonia composta da 4 tempi tutti lenti (Andante mesto, Larghetto, Chorale, Adagio).

Il primo movimento farebbe pensare a un'introduzione che precede un allegro tempestoso, come era avvenuto nella Sinfonia VB 142 nella stessa tonalità (e nella sua prima versione in do#minore). L'inizio è scandito dal ritmo dei timpani, ma l'atmosfera instaurata dalla melopea che gli archi disegneranno di lì a poco può rammentare la severità e la grandezza della Marcia funebre della Sinfonia Eroica che avrebbe visto la luce nel 1804.

La significativa pausa a 1:13 non prelude a un'accelerazione del discorso musicale, che riprende invece con identico tempo, ma stavolta in modo maggiore, elevando un canto di frenetica bellezza che forse descrive la magnanimità del sovrano assassinato. La strumentazione, ricca come non mai (due oboi, due clarinetti, due fagotti, due corni in mib e altri due in do basso, due trombe, timpani e archi), accompagna discretamente la musica, con interventi misurati e intensi dei fiati:



I tempi centrali della sinfonia, Larghetto e Chorale, sono molto brevi (38 e 21 battute rispettivamente) per quelle che oggi chiameremmo ragioni di spazio. Definiti "interludi" dal Van Boer, pur nella loro estrema concisione racchiudono anch'essi bellezze insospettabili.

Il Larghetto è un tema stupendo in 3/8, dalle screziature brahmsiane: se non fosse per la durata, potrebbe già appartenere al secolo successivo. Composta da appena due sezioni ripetute, questa miniatura è un po' più mossa del tempo precedente, coniugando la massima semplicità con un senso melodico ormai di altissima levatura.


Nel terzo movimento, che nell'edizione Naxos dura meno di un minuto (e in quella qui proposta poco di più), abbiamo il semplice accompagnamento di un corale svedese che, notizie di Van Boer alla mano, veniva cantato dai presenti. L'operazione bachiana riesce a meraviglia, al punto che questa armonizzazione diventa canto puro da sola.


L'ultimo tempo, Adagio, riprende curiosamente nella melodia lo stesso tema con cui esordiva l'Allegro della Sinfonia in do minore VB 142 di otto anni prima, naturalmente con molta più lentezza. Lungo più o meno quanto il primo movimento, l'Adagio si suddivide in più sezioni, e dopo un inizio molto cupo in minore modula argutamente in maggiore per lasciar spazio a un intervento dei corni.

A metà circa del brano, Kraus avvia una fuga (una rarità per il suo repertorio: quella che figura nella Sinfonia in re minore, come sappiamo, è il rimaneggiamento di un'opera precedente di Albrechtsberger), ma sarà il fosco rullare dei timpani che aveva aperto la splendida sinfonia a chiuderla, in un clima affranto e sfibrato.





Grandi contemporanei: Joseph Martin Kraus (26)

Olympie, ovvero come la Naxos scoprì un genio

Il 7 gennaio 1792, due giorni dopo la nascita del lied in memoria di Mozart, si rappresenta con grande successo la tragedia Olympie di Voltaire al Teatro reale drammatico di Stoccolma. Kraus ci aggiunge le musiche di scena (un'ouverture, unamarcia per fiati, quattro interludi e un postludio). L'ouverture, solenne e severa, è il primo brano in assoluto dell'integrale sinfonica Naxos. La struttura dell'ouverture è tripartita: adagio – allegro – adagio, dove l'ultima parte riprende tematicamente la prima. Il livello è quello, superbo, delle sinfonie kraussiane in minore, con il finale che non giunge a una conclusione, restando invece sospeso per introdurre le prime battute della tragedia:


Gli altri brani si mantengono su toni più moderati e semplici, ma dopo la marcia che apre i giochi, l'interludio tra I e II atto (1:21), in un bel minore drammatico, ritrova quei caratteri eroici ai quali Kraus ci ha abituati.

Più esteso, ma anche più galante,è l'interludio tra II e III atto (2:11), una sorta di contraddanza quasi innocua; tra il III e il IV (4:27) abbiamo invece un fraseggio più riflessivo, con ampie parti affidate ai fiati. Benché il suo tema di partenza sia spoglio, è il pezzo più elaborato e seducente di questa serie.

L'ultimo interludio (8:48) comincia per contro da una melodia staccata in tempo mosso e ricca di pause esitanti: simile a un finale di sinfonia (ma chiaramente pensato per la scena), è un altro brano danzante, con un chiaro andamento di minuetto. A concludere il lotto delle musiche di scena è un solenne postludio (11:50) con tanto di tromboni, che doveva sottolineare la tragica conclusione del dramma e sembra prepararci, nel suo desolato calando, alle meditazioni ultraterrene della Sinfonia funebre.


Grandi contemporanei: Joseph Martin Kraus (25)

L'ultimo anno. Se non erano amici loro… 

Il 5 dicembre 1791 muore Mozart. Tre settimane dopo la notizia raggiunge la Corte svedese: per Kraus è un brutto colpo e lo è anche per il suo amico Carl Michael Bellman, poeta e liederista. Entrambi erano infatti mozartiani convinti, come ci informa Van Boer, e si mettono d'accordo per scrivere un lied commemorativo. Bellman pensa al testo, Kraus lo musica e ne vien fuori un canto dagli accenti vagamente massonici,quasi una traccia d'eco del Flauto magico.




Il testo esprime il dolore per la morte del compositore. Attorno alla sua tomba suonano tristemente alcuni strumenti e una cantante intona un lamento piangendo il suo nome, mentre lo spirito di Mozart, "ombra nobile", s'invola verso l'Eliso. 

Questa composizione non è di per sé una prova che i due autori coetanei si fossero conosciuti di persona in precedenza, ma può costituire un indizio importante se riconsideriamo l'arrangiamento della marcia dell'Idomeneo (che con verosimiglianza doveva esser giunta a Kraus per vie dirette, considerato che – lo ribadisco – l'opera non venne pubblicata prima del 1792 e a Vienna Kraus aveva fatto parte della stessa loggia massonica cui era affiliato Mozart). Purtroppo, e questa è un'altra cosa che va ribadita, non ci sono documenti né lettere che dimostrino sia avvenuto un loro incontro. C'è solo quella missiva, di cui s'è già detto, in cui Kraus menziona in termini affettuosi Mozart e il Figaro. 

È strano infine che questo omaggio, suggello dell'importante amicizia con Mozart (o almeno dell'ammirazione nei suoi confronti), non abbia ancora avuto l'onore di un'incisione ufficiale, nonostante molti dei lieder kraussiani abbiano trovato ricetto nei CD Naxos. Ringraziamo perciò il pianista-cantante che l'ha caricata sul tubo per noi.